Ronin (1998) Samurai da rapina, di John Frankenheimer




Esiste un concetto ideale in una carriera artistica di un regista, che può essere definito come "un colpo di coda" alla fine della propria carriera, tolti i successivi lavori (il buon "Reindeer Games", uscito due anni dopo) questa penultima pellicola del grande Frankenheimer può essere definita come tale, sotto ogni aspetto (qualitativo e di successo tra pubblico e critica). Più lo si guarda questo film e più ci si chiede (per paragone) cosa in tempi recenti De Palma avrebbe potuto fare con il suo "Domino", invece la produzione dal canto suo gli mise i bastoni tra le ruote. Resta comunque il fatto che questo film risente molto l'influenza di opere come "The Day of the Jackal" di Fred Zinnemann del 1973 e "Le samouraï" di Jean-Pierre Melville del 1967.


Frankenheimer non aveva perso il suo tocco di regista, tutt'altro. Ronin è intelligente, acuto e spiritoso, e mostra una maggiore facilità per la narrazione visiva di quanto la maggior parte dei film realizzati oggi, da registi più giovani, possa raccogliere. Il buon John comprime due successi degli anni 90 per quello che riguarda il tema di rapina mano armata in un film solo, in particolare "Heat" di Mann e "Reservoir Dogs" (ma anche "Pulp Fiction" in particolare per il MacGuffin della valigetta) di Tarantino, e aggiunge un comparto di regia per quello che riguarda gli inseguimenti in macchina (fatti in presa diretta, gran lavoro degli stunt e del montaggio di Tony Gibbs) che non fanno nessuna invidia ad un blockbuster come "Terminator 2" di James Cameron. Allo stile di regia va comunque aggiunto il piglio di una sceneggiatura accattivante scritta da J.D. Zeik e dal solito David Mamet (qui sotto pseudonimo), che mischia sapientemente tratti di vari generi che vanno dallo spionistico fino a quello action in modo uniforme, immancabile il tratto senza pietà per il realismo dei personaggi.





Con Ronin, Frankenheimer ha dimostrato il suo talento cinematografico e le sue preferenze estetiche. Il film è stilisticamente legato ai principi del suo lavoro riscontrati nel periodo più precoce e migliore della sua carriera. La sua estetica realista lo colloca con Grand Prix, The Train e The Gypsy Moths, e la sua concezione minimalista dei personaggi e dei dettagli narrativi lo lega anche a quelle produzioni. Aggiungiamo poi al cast una coppia protagonista come DeNiro e Reno il gioco è fatto, il carisma è già apparecchiato sul tavolo a cui fanno da condimento l'apporto di caratteristi niente male come la bella (e bionda) Natascha McElhone, passando anche per nomi come Stellan Skarsgård, Sean Bean, Michael Lonsdale e Jonathan Pryce. Il tocco orientale del paragone/metafora con la leggenda dei 47 Ronin cade a pennello e non è una forzatura, anzi marca ancora di più il valore di questa masterclass che risulta essere il film.

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