The Age of Innocence (1993) Una lectio magistralis di film in costume, firmato Martin Scorsese


- Tu mi hai fatto intravedere dei lampi di vita vera, poi mi hai detto di continuare a viverne una falsa. -



Vista l'imminente uscita del nuovo film di Scorsese, mi sembrava giusto rendere onore ai trent'anni ad uno dei suoi lavori più atipici a livello di storia (tratto dall'omonimo romanzo del 1920 di Edith Wharton, vincitore del Premio Pulitzer nel 1921), quanto dettagliato a livello tecnico. Scritto assieme al fido Jay Cocks (Gangs of New York, Silence), con nel cast: Daniel Day-Lewis, Michelle Pfeiffer, Winona Ryder e Miriam Margolyes ed è stato distribuito dalla Columbia Pictures. Il film racconta il corteggiamento e il matrimonio di Newland Archer (Day-Lewis), un ricco avvocato della società di New York, con May Welland (Ryder); Archer poi incontra e rappresenta legalmente la contessa Olenska (Pfeiffer) prima di inaspettati coinvolgimenti romantici. "L'età dell'innocenza" è stato distribuito nelle sale il 1 ottobre 1993, ricevendo il plauso della critica, vincendo l'Oscar per i migliori costumi ed è stato nominato anche per la migliore attrice non protagonista (Winona Ryder), migliore sceneggiatura non originale, migliore colonna sonora originale e migliore direzione artistica. Margolyes ha vinto il BAFTA come migliore attrice non protagonista nel 1994. Il film ha incassato 68 milioni di dollari contro un budget di 34 milioni di dollari. Scorsese ha dedicato il film a suo padre, Luciano Charles Scorsese, morto il mese prima dell'uscita del film. Luciano e sua moglie, Catherine Scorsese, hanno avuto piccoli cameo nel film.


La genesi del lavoro risale a molto tempo prima: l'amico e sceneggiatore di Scorsese, Jay Cocks, gli regalò il romanzo di Wharton nel 1980, suggerendo che questo avrebbe dovuto essere il pezzo romantico che Scorsese avrebbe dovuto filmare, poiché Cocks riteneva che rappresentasse al meglio la sua sensibilità. La sequenza dei titoli del film è stata creata da Elaine e Saul Bass. Lo stesso Bass notò che i titoli erano altamente ambigui e metaforici, ed erano il risultato della sua passione per la fotografia time-lapse. La sinfonia visiva delle sequenze di rose in fiore e pizzi doveva trasmettere la sensualità sommersa e i codici nascosti dell'epoca.[14] I famosi dipinti presenti nel film erano riproduzioni di alta qualità di nuova creazione. Le esplosioni di colore utilizzate come dissolvenza in chiusura sono state ispirate dai film: "Black Narcissus" (1947), di Michael Powell, e "Rear Window" (1954), di Alfred Hitchcock. 


“L'età dell'innocenza” è un film da confrontare con i drammi in costume dell'epoca d'oro di Hollywood, come “L'ereditiera” di Wyler (basato su Henry James) o “I magnifici Amberson” di Welles, o con qualcosa dei maestri europei: come “Il Gattopardo” di Luchino Visconti. Splendidamente ricco, fluido, visivamente mozzafiato e squisitamente raffinato, l'adattamento di Martin Scorsese (con lo sceneggiatore Jay Cocks) del romanzo del 1920 di Edith Wharton è al suo trentesimo anniversario ed è ancora più magnifico che mai. Una tragedia di costume ambientata nella Belle Époque della società newyorkese degli anni '70 dell'Ottocento, un'epoca non di innocenza, ma di colpevolezza nascosta. Non è certamente lo stesso contesto della mafia italoamericana tante volte descritta nelle pellicole di Scorsese, tuttavia in comune hanno la caratteristica di essere mondi chiusi ed autoreferenziali, guidati da codici ben precisi e da rispettare per non incorrere in una morte sociale o emarginati dalle stesse famiglie di appartenenza. Quindi il film mostra Un'anima divisa in due fra: la passione per Olenska e la sicurezza sociale di May. Scorsese dirige uno dei suoi migliori film a livello visivo dal gusto classico. Tutto il comparto tecnico raggiunge livelli di eccellenza altissimi e nonostante questo la pellicola non è soltanto una bellissima confezione (pecca di cui sofforno tutti i film diretti da mestieranti del genere), ma possiede il cuore pulsante dei suoi personaggi attraverso recitazioni misuratissime che rendono perfettamente l'idea dei sentimenti e delle emozioni che si nascondono dietro parole o sguardi. il formalismo e le convenzioni sociali che soffocano e schiacciano i sentimenti sono gli stessi, visti dalla parte della nobiltà piuttosto che da quella della servitù (che qui non "esiste"). Si parla di bivi, di scelte, di condizionamenti, di rimpianti, sul non vissuto; il discorso di fondo è astraibile dal contesto e senza tempo.


Questa sua atipicità nella filmografia di Scorsese, agli antipodi dei suoi soliti canoni narrativi, potrebbe sin da subito farlo rientrare tra i vostri preferiti. Dall'eleganza formale incredibile: le scenografie di Dante Ferretti, i costumi di Gabriella Pescucci, le musiche di Elmer Bernstein (unite ai classici di Strauss), il montaggio di Thelma Schoonmaker, la fotografia di Michael Ballhaus (che ricrea quadri visivi dell’epoca, in particolare la scena del faro) e tutto si concatena con la regia, non un solo tassello che non sia perfetto a livello tecnico. Portandoci nel 1870 con una narrazione dallo stampo moderno, le focalizzazioni che sfruttano la luce sui due protagonisti che parlano o la scelta di far parlare in prima persona davanti alla cinepresa i personaggi che scrivono le lettere, invece che mostrarci la lettura di quest'ultime in modo classico e poi i bellissimi pianosequenza tipici del cineasta applicati al film in costume. La storia è facile da seguire e ci fa entrare in una grande immedesimazione coi protagonisti, facendoci capire alla perfezione il punto di vista di ognuno di loro, anche grazie alle straordinarie interpretazioni di Daniel Day-Lewis e di Michelle Pfeiffer che sono letteralmente in stato di grazia, un po’ meno Winona Ryder che è quasi messa al margine dall’alchimia citata dei precedenti attori.

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