Celda 211 (2009) Il prison movie iberico di Daniel Monzón, Malamadre non perdona e nemmeno il carcere europeo



- Di Malamadre non ride neanche Dio. -


Visto che mi trovavo nei pressi della Spagna era impossibile non incappare in questo gioiellino di prison movie, ammantato tipicamente dal fascino europeo ma dall'anima iberica che ne riempe i risvolti narrativi come i personaggi che lo animano. In quegli anni, verso il finire d'inizio 2000, dopo l’ottimo "Il profeta" del francese Jacques Audiard spuntò un altro prison-movie tutto europeo, diretto dallo spagnolo Daniel Monzón (che firma pure la scennegiatura assieme a Jorge Guerricaechevarría) e basato sul romanzo "Celda 211" di Francisco Perez Gandul. Senza saperlo mi trovai davanti a una pellicola che dimostrava come il cinema di genere spagnolo era in continua e piena evoluzione, dopo i fulmini a ciel sereno dell’horror iberico che avevano lanciato lanciato la New Wave di talenti come Amenabar, Plaza e Balaguerò.



La trama vien da sé: Juan Oliver è stato da poco assunto come secondino presso un carcere di massima sicurezza. Prima di iniziare il suo primo turno di lavoro, decide di visitare una sezione del carcere dove sono rinchiusi dei pericolosi criminali, ma durante la visita viene ferito alla testa da un pezzo di intonaco caduto da una parete in ristrutturazione. Juan viene soccorso dalle guardie, che lo adagiano su una brandina della cella 211, momentaneamente vuota, ma proprio in quel momento scoppia una rivolta, guidata dal duro e carismatico Malamadre, leader dei detenuti. "Cella 211"  come avrete ben capito, dalla sinossi, si ricollega al tipico filone del genere carcerario, di cui indubbiamente gli americani hanno sempre avuto la loro da dire (anche in tempi recenti), ma qui invece si ribaltano gli stilemi e le strutture tipiche del genere, anche perchè il sistema carcerario americano è profondamente diverso da quello europeo. Se nel cinema americano si cerca (quasi sempre) sempre una via di fuga in "Cella 211", invece nessuno vuole scappare o essere affrancato, si ritrova invece un chiliocosmo interno violentissimo in cui si evidenziano tutte le metafore del mondo esterno: i medesimi meccanismi di potere, le medesime ingiustizie sociali, i privilegi politici, l'amicizia virile, il sospetto, la vendetta.


La pellicola inoltre affronta due temi particolarissimi: il primo è con la denuncia sociale del sistema carcerario spagnolo (concetto che si può estendere ai sistemi carcerari di vari Paesi europei), che invece di rieducare annienta definitivamente l'individuo nel possesso della sua identità, secondo tema portante è il severo giudizio politico sull'ETA e sui privilegi di cui godono i terroristi baschi detenuti; il tutto sotto l'occhio benevolo del Governo. Si mescolano inoltre la razionalità del regista Daniel Monzon e la genialità di Jeorge Guerricaechevarria: infondendogli quel tocco spiritoso, virato allo humour nero, che fa di un film violento e maschio uno spettacolo godibile, che disturba ed emoziona fino all'ultimo istante. pprezzabile appare la scelta del regista di non parteggiare per nessuna delle parti in causa; egli infatti ci mostra l'aggressività, la durezza, la brutalità che serpeggiano nel microcosmo carcerario, ma anche la slealtà, la malefede, la falsità del mondo esterno, e soprattutto dei politici, del direttore della prigione, dei secondini, dei giornalisti che travisano e distorcono le notizie.


Daniel Monzon sa usare alla perfezione i volti (come le riprese sceniche della prigione), ottimi tutti gli attori, in particolare il superbo Luis Tosar ( al tempo ricordato solo per aver vetito i panni di uno spietato criminale nel rifacimento di "Miami Vice" ad opera di Michael Mann), epocale nel tratteggiare il difficilissimo ruolo di Malamadre che regge la scena anche nei pochi momenti in cui il film perde qualche colpo, e si lascia inevitabilmente tentare da una formalità visiva tipica del genere. L'adattamento di Monzon è degno della sua fama che lo ha preceduto e dei premi che ne hanno segnato il percorso distributivo, un film violento ma mai compiaciuto, intelligente e puntuale nel sottolineare contenuti ed intenti di denuncia, senza per questo rinunciare allo spettacolo e ad una corposa dose di tensione, che lo trasforma in un riuscito ibrido, capace di passare con nonchalance dal cinema di denuncia a quello di genere, senza dimenticare mai l’intrattenimento puro.

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