The Pope's Exorcist (2023) Me lo sbatto il dicastero!


Che dire, a volte è bello stupirsi, quando si tratta di B-Movie americani di solito la linea del godibile e del deprecabile è talmente sottile che bisogna prenderli a scatola chiusa e vedere cosa ci dicono con la loro storia. Sono tanti gli esempi che ho fatto in passato (e che potrei fare), questo che vi porto oggi è stato una sorpresa di cui però presagivo l'aspetto interessante: anche perché è l'unica ragione d'essere del film stesso, Russell Crowe che gigioneggia alla grande seguendo il sentiero del suo Jack Knife in “The Man with the Iron Fists” con cui ha aperto un nuovo lato inaspettato della sua carriera.Del regista australiano Julius Avery avevo già parlato con “Overlord”, ma penso che ormai sia una totale conferma come specialista nel servire B-movie di lusso o comunque godibili senza perdersi. Qui il soggetto di base è qualcosa che non mi è mai interessato, ovvero la storia di Padre Amorth, il capo esorcista della chiesa vaticana, cosa che però è interessata a quei mattacchioni della Screen Gems che ne hanno comprato i diritti affidando al sceneggiatura a Michael Petroni ed Evan Spiliotoppulus e mettendo 18 milioni di dollari nel budget per fare il film.


La storia vien da sé: Il film è ambientato nel 1987, tra Roma e la Spagna, e narra le vicende di Gabriele Amorth, un presbitero che indaga sulla possessione demoniaca di un ragazzo e finirà per scoprire una vicenda, risalente alle origini della santa inquisizione, che il Vaticano mantiene secretata da secoli. Una trama minimale quindi, che si muove su un genere che in cinquant’anni da quando William Friedkin ha riscoperto il male (nel cinema moderno) non ha mai sorpassato quell’asticella qualitativa. Nonostante qualche mosca bianca che ha rinvigorito i film sugli esorcismi, in molti si sono scontrati contro quel muro, ma non è il caso di questa pellicola che getta letteralmente alla berlina ogni pretesto (la dice lubga il fatto di aver usato come simbolo dell'Inquisizione spagnola quello del videogioco "Dragon Age"), non prendendosi mai troppo sul serio e non risultando pretestuosa o virtuosa nel raccontare qualcosa che è già stato visto in tutte le salse. Vien da ridere a pensare che per l’ennesima volta Crowe si trova in un film che viene rifiutato dalla Chiesa Cattolica, il primo fu “Noah” di Aronofsky, trovando comunque il successo quasi fosse una versione di John Wick con il crocifisso. Anche perché il regista Avery (mette doci anche i nazisti questa volta) offre, grazie anche alla prova di Russell, un esorcista che è più un un vendicatore anticonvenzionale che il prete timorato dal male di stampo classico. Anzi vi dirò di più, si sfiorano pure atmosfere alla Buddy movie, in cui il prete giovane (interpretato da Daniel Zovatto) diventa la spalla acerba e comica dell’eroe, un po’ come in quel mitico film di Rutger Hauer chiamato “Split Second” (Detective Stone, in Italia).


Il film in sé non aggiunge niente al genere a cui appartiene come trama, anzi i personaggi di contorno sono la solita tiritera che abbiamo sempre visto: madre vedova, figlia problematica, figlio impossessato ancora più problematico e un maniero malefico infestato. In questo il cast di contorno è funzionale e risibile, tranne per il solito Franco Nero che fa sempre presenza in certi ruoli altisonanti. Il vero colpo di genio è stato quello di aver trovato un Crowe così menefreghista del ruolo dal renderlo assolutamente magistrale, prima ragione per cui il film è venduto e sicuramente un successo in quel frangente, perché quando fai un film sugli esorcismi, associando atmosfere alla “Nice Guys” di Shane Black e “Drag Me To Hell” di Sam Raimi crei un B-movie che nei suoi difetti di base risulta totalmente godibile, in particolare per la goliardia dei dialoghi/situazioni che si vengono a creare. Il risultato è come se Renny Harlin avesse avuto carta bianca nel dirigere “L’Esorcista – La Genesi” senza le problematiche di produzione catastrofiche. Fa comunque tristezza che in produzioni come queste, in Italia, eravamo dei maghi e ci riuscivano facilmente senza dover scomodare registi australiani.

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