Hero (2002) Gli assassini dei colori di Zhang Yimou


Spettacolare nella forma, quanto poetico nel contenuto che esso vuole trasmettere. Non mi vengono altre parole per descrivere il soave lavoro svolto dal regista Zhang Yimou, applicando uno raffinatezza degna di Akira Kurosawa (anche a livello di sceneggiatura il richiamo a "Rashomon") nel trasmettere coi colori le ideologie e mentalità dei suoi protagonisti. La fotografia di Christopher Doyle in questo è un saggio di tecnica, non da meno le scenografie di Huo Tingxiao, per non parlare dei costumi di Emi Wada e come non citare la colonna sonora di Tan Dun. Tutto il reparto tecnico mostra il portento celebrativo del soggetto scritto da Zhang Yimou, in ogni suo più piccolo dettaglio (come la scrittura e l'arte della spada). Gli assassini dei colori, che non uccidono ma scelgono di non porre il colpo finale per un bene maggiore. Gran cast: Jet Li, Tony Leung, Maggio Cheung, Daoming Chen, Donnie Yen e la sempre gradita Zhang Ziyi offrono una prova magistrale al servizio della pellicola. Il cinema della arti marziali non è solo violenza.



- Sotto lo stesso cielo - è l'idea del Re di Qin e del regista, ma è anche l'incedere della storia che duemila anni fa portò all'unificazione dei sette regni sotto un unico stato, oltretutto è anche parte di un messaggio unificatore dei popoli del mondo, per mossa creativa nel sottotesto degli intenti realizzativi della pellicola. Sin dai primi fotogrammi ci troviamo davanti ad una storia monumentale, raccontata da Yimou basandosi sul tentativo di assassinio di Qin Shi Huang, primo imperatore della Cina, avvenuto nel 227 a.C. nella residenza di Jing Ke. I piani di lettura appaiono molteplici e ciascuno cela la sua verità, diversa da quella di tutti gli altri perché diverso è di volta in volta il soggetto narrante, fatto sottolineato dalla fotografia, dalla scenografia e dai costumi: rosso per Senza Nome, blu per il re, verde per Spada Spezzata. Il tutto seguendo la teoria dei colori del Wu Xing, che significa ordine dei cinque elementi, un concetto tipico della cultura cinese che viene utilizzato in svariati campi, dalla medicina tradizionale cinese alle arti marziali. "Hero" si basa sull'estetizzazione del genere wuxia iniziata con "Ashes of Time" e resa popolare da "Crouching Tiger, Hidden Dragon": è innegabilmente bello. Lo sono anche i suoi due film successivi del regista, "La foresta dei pugnali volanti" e "la città proibita", ma dove il primo si diletta nel melodramma irrazionale del tragico romanticismo, il secondo è consumato dal vuoto nel cuore della sua decadenza barocca, c'è una reticenza nei confronti di "Hero" però, come se fosse un sottoprodotto della sua struttura episodica, dell'instabilità narrativa e della politica potenzialmente repellente.


Come detto comunque, anche "Hero" segue la via di "La tigre e il dragone" di Ang Lee, successivo di due anni all'ultimo citato e uscito quattro anni dopo fuori dal mercato Orientale, questa via è quella dell'abbandono di qualsiasi realismo nei combattimenti favorendo un impianto molto più teatrale, ma saggiamente predisposto dai coreografi Tung Wei e Ching Siu-Tung. Ma la trame a scatole russe, che si sviscera piano piano nel dialogo tra il re e Senza Nome è quanto di più cinematografico si possa richiedere in una storia del genere, in cui l'intento del protagonista è quello di arrivare almen a dieci passi dal reggente per poterlo uccidere. Un elaborato esercizio di stile, come una partita a scacchi, dove la tipica regia di Zhang Yimou esprime a pieno il suo potenziale. Gli va riconosciuto a questo regista di avere un taglio estremamente personale e riconoscibile, credo definibile questo con una semplice parola: talento. Mai estetismi, sempre nobili valori estetici; mai bellurie, sempre pura bellezza. Grandioso e meraviglioso il modo in cui fa dimenticare il piccolo realismo o pseudorealismo quotidiano del cinema borghese occidentale, portando l'epica, comunicando pensieri alti: l'eroe è colui che anche nelle circostanze più difficili sa assolvere bene al proprio compito; l'eroe è l'uomo d'armi che arriva a disarmarsi, a sostituire la pace alla guerra.


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