Infernal Affairs (2002) Il bene e il male secondo Andrew Lau & Alan Mak


La premessa è che ho visto entrambi i film (per la verità prima il rifacimento di Scorsese). Posso aggiungere, senza dubbio, che sono rimasto particolarmente impressionato da quanto sia stato curato il soggetto nella sua prima versione (quella di Lau): non è un caso che l'affermatissimo Martin ne abbia comprato i diritti. Non sono d'accordo però con chi sostiene che l'opera del grande regista americano sia inferiore all'originale. Primo perché ci sono i vari aspetti tecnici che dividono i film e poi quelli personali dovuti ai registi. Il montaggio e il cast sono praticamente quelli che separano le pellicole, non sul lato recitativo ma sul lato della caratterizzazione dei personaggi, l’aspetto psicologico curato da Martin Scorsese (quello che invece manca a Infernal Affairs). Nel film di Lau si nota una maggiore definizione tecnica nelle azioni dei personaggi e dalla sua ha una maggiore originalità dato che è da quest’opera che deriva il film di Scorsese. La storia ormai è ben conosciuta (tanto che in "The Raid 2" ne viene pure preso il corpus di trama) quindi non mi perderò nel citarla.

L’originale ha richiesto l’impiego di un budget elevato e di un cast di star orientali, orchestrato dall’esperto Lau (Young and dangerous, The Storm Riders) coadiuvato alla regia e alla sceneggiatura dal giovane Alan Mak, il risultato è un concentrato di cultura asiatica con uno sguardo ampiamente aperto verso il cinema d’oltre oceano. La struttura ricalca fedelmente alcuni stereotipi dell’action movie americano, stilizzando elementi da classico thriller e forzando la mano nella caratterizzazione di qualche personaggio, attingendo comunque a piene mani da una scuola di cinema tipicamente made in Hong Kong che fa la differenza. Visivamente è ricco di particolari, alterna carrellate in esterni, abili zoomate, ottima cura della fotografia, montaggio efficace, ambienti mai lasciati al caso, il tutto abilmente e doviziosamente ammaestrato dai due registi. Lo sviluppo della trama assolutamente non banale, né tantomeno scontata, sembra voler calcare l’appartenenza al modus operandi asiatico quasi a voler entrare in antitesi con l’altra faccia della medaglia di stampo occidentale. Il finale può infatti risultare ambiguo, malinconico e desideroso di non creare un mero blockbuster utile solo a ricavare introiti per finire nel dimenticatoio dopo un lasso temporale brevissimo.

Il cast senza dubbio riesce a sopperire  poche falle presenti nella vicenda, dovute principalmente a mancati approfondimenti di sceneggiatura, grazie alla loro ottima interpretazione, specialmente i veterani Tony Leung, Andy Lau ed Anthony Wong, che vivificano i loro personaggi sia psicologicamente che fisicamente. Un po’ forzata, invece, la presenza del gentil sesso, incastonata in trame sentimentali che lasciano il tempo che trovano, un espediente che sembra voler solo arricchire il cast con nomi importanti quali quello della cantante pop Elva Hsiao, oltre che delle star Kelly Chan e Sammi Cheng. Andrew Lau innesta elementi già abbondantemente rodati da registi del calibro di John Woo (come non notare la somiglianza con la trilogia A better tomorrow) o situazioni grottesche che rasentano il seminale “Violent Cop” di Takeshi Kitano. Comunque in un panorama non particolarmente florido per il genere (al tempo, ora in fase più che mai in secca, in particolare a Hollywood dopo il canto del cigno di “The Irishman”) specialmente dal punto di vista qualitativo, al tempo fu una ben accetta boccata d’ossigeno. Esistono altri due capitoli usciti nell'arco del 2003, ma che devo ancora recuperare.




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