The Predator (2018) Il giorno dello Yautja di Shane Black

In un panorama pieno di oltranzisti, feroci e assatanati contro chi non immola la loro nostalgia, è massimo dovere di pochi evolvere un discorso iniziato tanti anni fa nel 1987. Shane Black in questo è l'uomo giusto: regista e sceneggiatore che non ha bisogno di presentazioni ma che, per i pochi che non lo conoscessero, è la genialità dietro Arma Letale e L’ultimo boy scout. Shae non è un cineasta ordinario, né un inesperto dietro la telecamera, risulta però  il talentuoso figlio di un’epoca in cui gli eroi erano testosteronici e dalla battuta pronta, un creativo dallo stile estremamente personale capace di restare al passo con i tempi che corrono ma adottando stilemi della vecchia scuola. Gli anni ottanta ormai sono finiti (nonostante però il film sia ambientato nel 2018, la sensazione è quella di essere nel 1988) e il loro lascito stilistico è oggi prerogativa di pochi e ricordo di molti. Ovviamente la moda dei reboot, seguiti anacronistici, rifacimenti e compagnia cantante che non sono all’altezza della saga è sempre davanti alla telecamera, questo non conferma però, necessariamente che ogni tentativo di rimettere mano alla vecchie glorie sia disastroso. In particolare quando il novellino, The Predator, si allontana, non solo per intenti, dall’ingombrante capostipite.

L’ultimo capitolo non ha nulla a che vedere con la onnippresente nostalgia, piena di citazionismi e idee già viste, anzi splendde di luce propria, perché sa di essere diverso e fiero di esserlo. Il primo Predator era tensione che si tagliava, una caccia brutale che culminava nell’istinto primitivo dell’essere umano, qua invece il discorso è nettamente diverso: un cecchino dell’esercito si ritrova sulla scena di uno schianto e recupera pezzi di tecnologia aliena appartenenti a un Predator, scatenando così una caccia urbana che coinvolgerà un nuovo gruppo di soldati particolarissimi e scienziati contro una razza belligerante. Nessuna giungla, tranne nei primi minuti, e niente ipertrofia in belal vista, la trama semplice però non è un inganno perché al timone di tutto c’è il pirata  Black: dialoghi folgoranti, personaggi strepitosi e una capacità di scrivere l’azione invidiabile. The Predator è un film che pare arrivare dai primi anni novanta, ma adattato senza problematiche nei giorni nostri: è sbruffone, esagerato, per nulla ruffiano, capace di raccontare una storia in cui sono i disadattati a risolvere la situazione (caratteristica di molte sceneggiature dello stesso Black), scegliendo di fare almeno una cosa giusta nella loro erratica vita. E tutto questo senza i grandi nomi: Thomas Jane, Trevante Rhodes, Alfie Allen, Keegan-Michael Kay e Augusto Aguilera sono l'allegra pazza compagnia che tutti vorebbero avere.

(quello a destra è il tipico antagonista anni 80, avete presente i due federali in DIe Hard? ecco)
(notare nella banda  un Punitore con la tourette ed un personaggio dal nome Carpenteriano)
Sono proprio questi personaggi improbabili a far venire voglia di un’altra visione e qui Shane Black e Fred Dekker (Scuola di mostri, Robocop 3, Dimensione Terrore), amico e collega di sempre con cui collabora alla sceneggiatura, si dimostrano attenti e intelligenti, gestendo la controparte femminile dei soldati senza la solita banalità. La scienziata di Olivia Munn è caratterizzata in modo equilibrato, non è la damigella in pericolo e nemmeno la Ellen Ripley della situazione, è battagliera ma a tratti goffa, decisa eppure non infallibile. A questo punto verrebbe da stappare uno spumante gridando al capolavoro, ma non è così. La parte finale è incredibilmente sbrigativa e in diversi punti si avvertono tagli netti, sintomi di un’ingerenza produttiva che ha lasciato un segno decisamente negativo. Le pesanti modifiche volute dai produttori mal si sposano con l’idea di Shane Black e inevitabilmente ciò risulta visibile. The Predator è sì un azzardo, un traditore, un imperfetto reboot o sequel, ma è anche molto più: è old school senza anacronismo, efficace nella sua semplicità, animato da un senso visibile solo grattando la superficie. È orgoglioso, anarchico intrattenimento.

Commenti

  1. Quindi non all'altezza del capostipite.
    Sereno pomeriggio.

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    1. Tralasciando la mannaia taglia idee della produzione, resta un rivisitazione che risulta molto originale.

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  2. In questo caso non sono d'accordo, vedibile sì ma dimenticabile..

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    1. Purtroppo come ho scritto i "puristi" del primo hanno più di una bega da dover assimilare, ma ripeto: nonostante i travagli di produzione è un figlio autoriale molto originale.

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  3. Si questo avevi dannatamente ragione, nonostante le complicazioni è riuscito ad essere originale, qui si vede il talento degli autori che valgono.

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  4. molto lontano dal resto ma l'ho apprezzato

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    1. È quella lontananza ad essere la sua più grande qualità. Almeno per me.

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