Daniel Isn't Real (2019) Parassiti dimensionali e amici immaginari



Direi un più che godibile horror sulla schizofrenia e parassiti dimensionali, che offre sia una parte thriller drammatica (la più riuscita) che una più incline al grottesco (la più prevedibile) con visioni malsane che sfociano anche nell'onirico surrealista. Adam Egypt Mortimer dirige e scrive assieme all'autore originale del soggetto, il libro "In This Way I Was Saved", Brian DeLeeuw una storia che prende molto dalle deviazioni horror della saga Hellraiser di Clive Barker (e perché pure Nightmare 3), ma anche dell'approccio fatto da Adrian Lyne con "Jacob's Ladder", senza contare l'approccio stile "Ich seh, Ich seh" di Veronika Franz e Severin Fiala.



La prima cosa che viene in mente guardando il film è  come l'amico immaginario sia inquadrato in ogni scena. In un certo senso si confonde con lo sfondo, nonostante sia così presente e accattivante in ogni ripresa, è realizzato con stile, facendo sembrare che lui non sia nemmeno lì, come se fosse davvero tutt'uno con Luke. Una volta che inizia a essere ignorato, le cose diventano violente, avviene l'inevitabile cambio di corpo e ne consegue il caos totale. Adoro l'effetto di fusione del viso quando avviene il cambio (molto cenobita di Hellraiser 4). Il fatto poi che questo amico immaginario abbia una storia tutta sua, e il modo in cui si ricollega all'introduzione violenta è scelta eccellente.



La storia è prevedibile? SÌ. Ci vuole troppo tempo per arrivare al nocciolo del mistero dietro al personaggio immaginario? Forse. Si conclude nel modo più prevedibile possibile? In parte. Ma tutto ruota intorno alle grandi performance, alla fotografia cupa/lisergica di Lyle Vincent e alla sensazione claustrofobica che il film riesce ad evicare. Buono il cast, partendo dai due protagonisti Miles Robbins e Patrick Schwarzenegger che riflettono due aspetti agli antipodi di una personalità, ma non male anche le prove di Sasha Lane, Mary Stuart Masterson, Hannah Marks e Chukwudi Iwuji.

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